Essere caregiver
Dove si chiarisce che anche dietro i sorrisi e l’allegria si nascondono la fatica e la fragilità e che i genitori di bambine/i con disabilità grave devono essere supportati in quanto anch'essi soggetti fragili
Condivo il testo che ha pubblicato la Fondazione Imoletta invitandovi a visitare la pagina Fb di Amici di Imoletta in cui sono presenti le testimonianze di altri genitori/caregiver.
La voce di Anna, mamma di Agata (23 luglio 2022)
Alcuni mesi fa mi è stato chiesto di scrivere una testimonianza su cosa significa essere i genitori di Agata. Nella mia testa almeno cento volte in questi mesi ho cercato di mettere insieme i pensieri a volte ricorrenti, a volte unici. Mi sono posta molti dubbi su quale sarebbe stata la reazione al racconto di sentimenti non piacevoli. Ho avuto timore di essere giudicata dicendo che dell’essere genitori di una bambina con disabilità, la nostra bambina, nostra figlia, mi sento di voler raccontare il dolore, le difficoltà, le paure, la rabbia, i rimpianti, le lacrime, la stanchezza fisica e soprattutto mentale. Di raccontare che l’unica cosa che io e Stefano, il papà di Agata, mentre aspettavamo Agata, pensavamo di fare con lei era lo sport, tutti gli sport (eravamo sportivi e amiamo lo sport) e di viaggiare il mondo e che poi la nostra bambina è nata prematura, con una paralisi cerebrale infantile ed un quadro motorio molto compromesso.
Il fatto è che non si è mai solo genitori di un figlio con disabilità ma si è anche, soprattutto caregiver (così vengono chiamate le persone che si prendono cura h24 di un famigliare che non ha autonomia in alcune funzioni essenziali come mangiare, spostarsi, lavarsi, fare la pipì ma anche avere relazioni). I genitori in generale vivono questa condizione quando hanno i bambini piccoli, poi tendono a scordarsi e dimenticare quegli anni in cui ogni parte del corpo e della mente sono rivolti a far sopravvivere e rendere felice quel piccolo bambino/bambina amata/o in un modo così intenso e che dipende da te completamente. Se invece sei genitore e caregiver e tuo figlio ha una disabilità grave, la condizione che vivi nei primi anni di vita si prolunga di alcuni, molti anni e a volte per sempre e devi dunque convivere con questi due ruoli che presto prendono il sopravvento su tutto, è un lavoro che si svolge senza sosta in aggiunta al proprio lavoro e a quello di genitore.
C’è un modo però per resistere in questa condizione e per non farsi sopraffare, ovvero essere aiutati nel ruolo di caregiver: avere aiuti non generici ma molto mirati e personalizzati che possano donarti la libertà mentale e tempo da dedicare a se stessi. Perché questo sia possibile devi essere certo che tuo figlio sia nella condizione migliore, che sia felice più di quando lo è con te.
Credo che siano profondamente sottovalutate o meglio ignorate, le conseguenze di questa condizione sulla vita dei genitori. Spesso le famiglie si spezzano, spesso si perde il lavoro oppure lo si abbandona volontariamente, spesso ci si arrabbia con il mondo, la stanchezza ti impedisce spesso di spendere energie in passioni varie e sport, le risorse economiche di nuclei famigliari anche non fragili non bastano mai, credo anche che ci si ammali, non so se esistano ricerche specifiche ma sarebbe interessante indagare anche questo.
Servono professionist* per aiutare autenticamente i genitori dei bimbi con disabilità con progetti incentrati sui bisogni della famiglia (perché ogni nucleo è davvero unico nei bisogni e nei desideri) e prioritariamente su quelli dei genitori; servono poi anche iniziative di elevatissima qualità come quella di Fondazione Imoletta, popolate di persone, volontari, professionisti che la fatica e la sofferenza dei caregiver la conoscono bene ma che sanno anche quante competenze ed energie possano scaturire dal fare il mestiere del caregiver.
Nel primo anno di vita di Agata abbiamo avuto una babysitter austriaca che si chiama Julia. Ci raccontava che dove vive lei ci sono servizi per far fare una notte fuori ai genitori dei bimbi piccolissimi che magari non dormono una notte intera da mesi. Julia era bravissima, bella ed amorevole e si prendeva cura anche di noi. Ci diceva ‘andate, ci penso io’ e noi (io e Stefano) eravamo tranquilli e potevamo parlare, passeggiate, fare quello fanno gli altri, anche dormire fuori. Più tardi abbiamo trovato un’altra Giulia, italiana, educatrice, ma soprattutto in sintonia con noi e con Agata. Non son semplici questi abbinamenti, ma non sono impossibili e possono cambiare la vita di una famiglia fragile.
A volte i famigliari, possono svolgere questo ruolo (nonni, zii..) ma non è banale e non per tutti; a volte gli amici, ma non può essere un regalo, deve essere un diritto insieme a molti altri diritti non riconosciuti a chi svolge una funzione sociale indispensabile non riconosciuta.
Non ho ancora detto com’è essere genitori di Agata… è una avventura, è una prova, è una sfida quotidiana, è un pensiero continuo rivolto a come fare in modo che sia felice, che sia autonoma, che possa trovare il suo posto nel mondo, è un piacere perché Agata è una bimba indescrivibile, divertente, determinata.
Ma essere i caregiver è faticoso, è logorante perché i servizi sono creati su presupposti sbagliati e, quando ci sono, sono sempre e solo dedicati ai bambini e in ogni caso, anche quello che sulla carta sembrerebbe un diritto dei nostri bambini diventa spesso una lotta da combattere e bisogna avere risorse per lottare: energie, competenze e soldi.
Ci vuole un mondo sempre più competente e attento e per questo ci stiamo lavorando insieme ad Agata con un progetto che abbiamo appena avviato. Ci lavoriamo insieme come genitori e figlia con l’aiuto di amici e parenti. Proviamo a spiegare col sorriso cosa vuol dire vivere una vita piena zeppa di ostacoli ed a provare a migliorarla. Il progetto si chiama Le passeggiate di Agata.